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Le teorie della Finanza Comportamentale

In questo articolo intendo fare una panoramica sullo sviluppo e, in particolare, sugli apporti teorici alla Finanza Comportamentale, evidenziando i principali contributi che nel tempo hanno portato ad una sempre maggiore comprensione dei comportamenti degli attori dei mercati finanziari attuali e quindi delle loro dinamiche caratteristiche, volendo sottolineare l’importanza dell’integrazione delle discipline psicologiche e sociologiche ad essi sottostanti, oggetto di studio dell’Economia Comportamentale.

A partire dalle teorie classiche che consideravano l’agente economico come perfettamente razionale, il cosiddetto homo oeconomicus, che aveva piena conoscenza delle informazioni disponibili, un contributo fondamentale alla Finanza Comportamentale si può individuare nel lavoro di Adam Smith con la Teoria dei Sentimenti morali, secondo la quale tutti i giudizi morali che portano a propendere per l’approvazione o disapprovazione di sentimenti e comportamenti propri e altrui, derivano da un unico sentimento, la simpatia e dalla capacità di ritrovare le proprie emozioni nell’agire altrui e di immedesimarsi in esso. Da qui si inizia anche a vedere il carattere intersoggettivo della coscienza morale, derivante dall’esperienza che permette di raggiungere un’autonomia morale, svincolandosi dal conformismo. Inoltre Smith fornisce una prima sovrapposizione con le concezioni psicologiche, portando alla luce il ruolo delle passioni represse che, se trattenute non si esauriscono da sole ma si accumulano fino ad arrivare a manifestarsi successivamente, anche fuori dal contesto di origine, allo stesso modo delle pulsioni Freudiane; la chiave per riuscire a governare al meglio queste passioni sarebbe quindi raggiungere un buon auto controllo, che permetta di mantenersi il più distaccati possibile. Contestualizzando in epoca attuale questi meccanismi di empatia e regolazione emotiva e rimanendo in tema di integrazione multidisciplinare, di recente è stata scoperta la presenza nel cervello dei neuroni specchio, ovvero neuroni che rispondono selettivamente allo scopo di un certo gesto osservato e che quindi si pongono alla base dell’apprendimento imitativo.

Proseguendo storicamente, Jeremy Bentham sviluppò una teoria economica basata sull’utilitarismo, secondo il quale le persone scelgono ciò che le può condurre a una massimizzazione dell’utile inteso come utilità sociale (cioè il massimo grado di piacere per il maggior numero di persone possibile e con la minore possibilità di verificarsi di eventi spiacevoli), arrivando a definire ciò che è  giusto e ciò che è sbagliato in base agli esiti rispettivamente positivi o negativi che comporta, spostando quindi il focus del giudizio sull’importanza delle conseguenze e del contesto in cui avviene l’azione. Della stessa dottrina filosofica è John Stuart Mill, che sostitusce però il concetto di piacere di Bentham, ritenendolo troppo riduttivo, con quello di felicità, proponendo inoltre l’uso del metodo deduttivo in economia, secondo il quale le teorie sottostanti ai fenomeni economici deriverebbero dalla deduzione di regole ritenute affidabili da chi agisce e che possono essere insegnate, così che il sentimento di giustizia che permette di sapere ciò che è giusto o meno può essere consolidato mediante l’educazione.

Un economista il cui lavoro segna la rottura con la tradizione classica e contribuisce alle teorizzazioni della Finanza Comportamentale, è William S. Jevons, che pone l’accento sulle scelte individuali, identificando l’utilità come una realtà psichica, una relazione astratta tra oggetto e persona per cui ciascun oggetto può avere un’utilità diversa per ciascuna persona, considerando come buono ciò che ogni individuo ritiene più utile per sè stesso e che incrementa la propria felicità, mentre la disutilità corrisponde a tutto ciò che arreca pena o disagio. Oltre al carattere soggettivo e derivato dell’utilità, Jevons sostiene che questa decresce al crescere della quantità di un determinato bene disponibile e definisce un grado finale di utilità, ovvero la soddisfazione derivante dal consumo dell’ultima quantità di un certo bene.

Verso la metà del 1900, Markowitz si occupa invece delle scelte in condizioni di incertezza e con il suo modello media-varianza per la selezione dei titoli del portafoglio, sposta il focus sul criterio rischio-rendimento, considerando anche l’ampiezza di oscillazione dei rendimenti attesi nel processo decisionale e superando quindi l’idea che l’obiettivo centrale dell’investitore sia la massimizzazione del rendimento; dunque, semplificando, in caso di una maggiore propensione al rischio, l’investitore preferirà un portafoglio aggressivo e viceversa e per misurare il rendimento atteso considera il valore atteso dei rendimenti, mentre per l’oscillazione dei rendimenti attesi impiega la loro varianza.

Il fatto che la razionalità degli individui sia invece limitata, viene evidenziato da Simon, che si focalizza sui fattori che intervengono nei processi di scelta come i limiti cognitivi individuali, le condizioni di incertezza e le tempistiche situazionali, presupponendo però ancora una base irrealistica costituita da una conoscenza completa dell’ambiente esterno e quindi modelli economici conformi all’efficienza di mercato, per la quale i prezzi riflettono le informazioni disponibili e non vi sono ulteriori strategie di investimento che possano portare ad un rendimento superiore a quello corrispondente al relativo rischio. Ma presupporre la piena razionalità degli investitori in qualunque situazione non è verosimile, come testimoniato ad esempio dalla frequente presenza di noise trader, i cui comportamenti oltre ad essere irrazionali, sono mediati da fattori psicologici e sociologici. Inoltre nel mercato finanziario non operano solo investitori individuali ma anche professionisti di società finanziarie, aumentando la complessità delle dinamiche dei processi decisionali. Un’anomalia di mercato legata a fattori psicologici è ad esempio il fenomeno delle bolle speculative, per cui dilagano le cosiddette mode di diffusione un bene.

In realtà la maggior parte delle scelte non avvengono in condizioni di certezza, con piena razionalità nell’intenzione di massimizzare l’utile, bensì vengono utilizzate più spesso le euristiche, cioè scorciatoie di pensiero che permettono di risparmiare tempo e risorse cognitive. In tale senso, Von Neumann e Morgernstein ampliando la Teoria dell’Utilità Attesa di Bernoulli per le condizioni di rischio, sostengono che l’agire degli individui è guidato dalla tendenza a seguire modelli comportamentali predeterminati che portano alla maggior ricchezza possibile, considerando anche le ipotetiche scelte degli altri decisori e associando ad ogni evento una probabilità di realizzazione, che si traduce poi nell’attitudine al rischio. Questa teoria è origine di numerosi dibattiti e critiche, tra le quali spicca il lavoro di Kahnemahn e Tversky del 1979 che tratta in particolare le anomalie dei processi decisionali, come appunto l’uso di euristiche dettate dalle emozioni e dalle esperienze precedenti, a loro volta affette da errori cognitivi detti bias, che portano a distorsioni percettive; ad esempio per l’effetto framing, uno stesso problema espresso in due modi diversi può mettere in luce aspetti differenti dei risultati e portare a scelte diverse. La loro Teoria del Prospetto è così chiamata perché sostiene che le scelte scaturiscano da una prospettiva di partenza, un reference point che definisce il valore dell’oggetto di scelta per l’individuo, spostando quindi l’attenzione sulla massimizzazione della funzione valore. Sulla stessa teoria si basa la formulazione di Richard Thaler sul Mental Accounting, volta a descrivere i processi decisionali, paragonandone il funzionamento a quello dei sistemi economici di contabilità e per i quali gli individui tramite conti mentali categorizzano le proprie attività ed effettuano le scelte in termini di guadagno o perdita, creando differenti budget per ciascun fine e suddividendo in categorie la ricchezza e il reddito.

Si può concludere quindi che i cardini della Finanza Comportamentale sono dunque l’euristica, l’inquadramento e l’inefficienza di mercato, per la quale l’informazione ha un costo elevato e non è ugualmente disponibile per tutti, considerando il suo mutare nel tempo e che gli investitori seguono modelli diversi e possiedono informazioni differenti.

In questo articolo ho sintetizzato i principali contributi teorici alla Finanza Comportamentale, tralasciando le concettualizzazioni strettamente economiche per evidenziare come l’intreccio con concetti psicologici e sociologici sia di importanza fondamentale per la comprensione delle dinamiche economiche.
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